Al secolo Francesco
Golfari, Nomedarte è un giovanissimo
cantautore che canta e compone musica da
circa 5 anni, collaborando anche con "Disputa", un rapper compaesano,
per l'uscita di qualche album e live. Grazie a Valentina Rambelli, insegnante
di canto, Francesco si approccia presto in
modo più professionale al mondo della musica e lavorando con PMS STUDIO di
Raffaele Montanari, con il quale compone il suo primo album. Un album i cui
brani destrutturano i canoni musicali, senza seguire la consueta ripartizione
tra strofa e ritornello, sorprendendo
l’ascoltatore, non soltanto per una raffinatezza nell’uso delle parole
scelte, ma proprio nella struttura stessa di ogni pezzo, in cui il “ritornello”
non si ripete, dove le rime non combaciano e dove le parole rincorrono melodie
distorte ma allo stesso tempo ammalianti…. Luci che si rifrangono, ombre che si
nascondono per poi poggiarsi dietro l’angolo, per oscurare quel lembo di emozioni
trattenuto ma presente….la musica di Nomedarte sfoggia colori dipinti a mano, lasciando
vedere i chiaroscuri, mentre si formano scenari opachi su un paesaggio nitido.
I contrasti sono un vero e proprio simbolo nell’universo musicale di Francesco
che saggiamente sceglie dalla sua tavolozza i colori più decisi, frapponendoli
a sfumature appena visibili.
E’ questo il contesto
di “A volte penso” un flusso di pensiero indeciso che scorre sfuggevole su
domande incerte, su risposte mai avute, su silenzi trattenuti e sorrisi
concessi
“A volte penso... “ è il primo progetto musicale
di NOMEDARTE, ‘’album si pare con la title track che descrive un periodo
incerto per l’artista, dove quelle domande, concepite dentro di sé, diventano
poi un modo per esternare il suo stato d’animo, una sorta di sfogo e allo
stesso tempo di analisi dell’attuale vacuità sociale che l’essere umano si trova
a vivere e a cui deve “sopravvivere”…. Una sorta di denuncia sociale, svolta
però dall’interno e proiettata verso il mondo esterno, verso quel mondo che
lacera i sentimenti e ne impedisce la loro ingenuità. Le frasi appaiono quasi
spezzate, le parole arrivano quasi di soprassalto come lo stesso finale
spiazzante e lacerante, quasi che l’autore volesse far percepire quel senso di
disagio che la società lo porta a vivere , esternandolo.
In “Sogni di luce” vengono riprese alcune delle riflessioni iniziate nella
prima traccia, anche qui infatti, si analizza il comportamento umano, ma la luce
che viene catturata non è quella esterna e fredda, ma una luce calda, tenue e
dolce, ovvero la luce dei nostri sogni… Sogni che- seguendo l’analisi effettuata
in questo brano- sembrano essere più veri della realtà stessa, in una sorta di
scambio “simbolico”, dove la parte irrazionale dei sogni, appare secondo
l’artista più reale della realtà stessa; come se i nostri sogni, i nostri
desideri inconsci, fossero la parte più vera di noi. Quanto infatti -se ci pensiamo-
la sfera del subconscio, è capace di guidare non solo i sogni, ma la
realtà stessa che viviamo ogni giorno, dirigendoci verso una scelta piuttosto
che un’altra, o lasciandoci guidare da emozioni di cui non sapevamo l’esistenza
e che investono poi il nostro modo di rapportarci con la realtà…?
E dopo questi “Sogni di luce” arriva il singolo con cui
Nomedarte si era presentato alle radio e
al pubblico, “Loop”, un brano che , a partire dal titolo, fa percepire quella
sensazione di “ripetitività” a cui l’essere umano è indotto. L’intento del
brano è quello di criticare una ben precisa categoria di persone, ovvero quella
di chi si accontenta della routine, rifugiandosi in essa, con la profonda
consapevolezza che- tale schema
prefissato- altro non fa che inaridire la vera essenza umana, impedendole di
fuoriuscire ed esprimersi. Tuttavia l’artista stesso si accorge poi, di appartenere
anche lui stesso a tale categoria e di vivere in questo Loop, dove è più facile
trovare riparo dall’incertezza.
La quarta traccia sembra essere la conseguenza naturale
della precedente, o meglio, il suo sviluppo e la sue evoluzione. Qui il tema si
approfondisce e se in “Loop” la routine quotidiana diventa una sorta di gabbia
dorata dove l’essere umano trovo la propria “comfort zone”, ecco che “Interno”,
imprigiona ancora di più l’uomo e la identità: quell’essere umano,
sembra perdere del tutto il senso di “essere”, facendo venire meno quindi anche
l’aspetto umanitario, ovvero ciò che lo rende tale.
Se nella terza traccia si avvertiva un disagio sul nascere
non ben contraddistinto, se non da quella vacuità interiore di chi si accorge
di ripetere se stesso in modo costante, ecco che qui tale disagio, si
interiorizza ed è proprio-come il titolo ci suggerisce -dall’interno che
l’artista parte per descrivere tale sensazione, prendendo spunto da un utilizzo
spasmodico del telefono che ci sta letteralmente “consumando”. Senza
accorgercene annulliamo infatti quel nostro “essere umano”, ossia quel senso
identitario che ci appartiene secondo natura, in quanto uniformiamo i nostri
pensieri a quello che vediamo, senza avere il tempo nemmeno per pensare o
criticare un qualche fatto o aspetto perché le informazioni sono così veloci,
che non abbiamo il tempo per rifletterci, formando una nostra opinione.
Un fatto che riguarda tutti e di cui l’artista stesso,
parlandone, guarda prima di tutto proprio all’INTERNO di se stesso, ravvisando
quanto nessuno cerchi una via di scampo, preferendo perpetuare tale
comportamento, piuttosto che cercare una soluzione che dia una qualche svolta alla
nostra vita e in particolare alla nostra consapevolezza, perché oltre ad essere
più comodo, siamo così inseriti in questo meccanismo come degli ingranaggi fissi, che diventa quasi impossibile sbloccarne
qualcuno per poi ricostruire il tutto.
E dopo questa lettura attenta di sé e del mondo, Nomedarte
riprende il percorso dentro di sé: da quello che in “Loop” era una sguardo dall’alto,
ad uno sguardo più generale e approfondito in “Interno”, ecco in “Sollievo” uno
sguardo più profondo, uno sguardo che è un faccia a faccia tra lui e la sua
interiorità, ma con gli occhi sempre rivolti al mondo attorno a sé; in
particolare l’artista si sofferma sul senso della vita e sullo stato d’animo malinconico
che tale concetto genera dentro di lui, prendendo ispirazione anche dalla
poesia. Una malinconia che si desta da un sonno profondo, cercando si schiudere
gli occhi e di superare tale stato angosciante, ma che in pochi istanti, si
accorge di come quel senso di vuoto, di delusione, sia radicato in quell’essere
umano, che mai è appagato nonostante gli attimi di felicità. Ma ecco che
interrogando se stesso e guardando dentro di sé, l’artista si accorge come i
momenti di gioia coesistano con quella desolazione interiore che soggiace al
suo stato emotivo nella quotidianità: scrutando dentro di sé egli intuisce come
la solitudine possa essere la chiave per riflettere, in quanto quando si è da
soli l’unica immagine che vediamo è la nostra e tale immagine altro non è che
lo specchio di noi dentro al mondo; ma occorre cercare la solitudine in questo mondo
caotico dove il Loop che viviamo ci riporta di continuo ad un’immersione
costante entro quel marasma sociale che prosciuga il nostro Io e lì è davvero
difficile scorgere il riflesso di noi…
Sonia Bellin
Link digital store: https://pmsstudio.lnk.to/avoltepenso
Nessun commento:
Posta un commento