venerdì 28 febbraio 2025

E’ USCITO “ A VOLTE PENSO…” IL PRIMO ALBUM DI NOMEDARTE

 


 

 


Al secolo  Francesco Golfari, Nomedarte è un  giovanissimo cantautore che canta  e compone musica da circa 5 anni, collaborando anche con "Disputa", un rapper compaesano, per l'uscita di qualche album e live. Grazie a Valentina Rambelli, insegnante di canto,  Francesco si approccia presto in modo più professionale al mondo della musica e lavorando con PMS STUDIO di Raffaele Montanari, con il quale compone il suo primo album. Un album i cui brani destrutturano i canoni musicali, senza seguire la consueta ripartizione tra strofa e ritornello, sorprendendo  l’ascoltatore, non soltanto per una raffinatezza nell’uso delle parole scelte, ma proprio nella struttura stessa di ogni pezzo, in cui il “ritornello” non si ripete, dove le rime non combaciano e dove le parole rincorrono melodie distorte ma allo stesso tempo ammalianti…. Luci che si rifrangono, ombre che si nascondono per poi poggiarsi dietro l’angolo, per oscurare quel lembo di emozioni trattenuto ma presente….la musica di Nomedarte sfoggia colori dipinti a mano, lasciando vedere i chiaroscuri, mentre si formano scenari opachi su un paesaggio nitido. I contrasti sono un vero e proprio simbolo nell’universo musicale di Francesco che saggiamente sceglie dalla sua tavolozza i colori più decisi, frapponendoli a sfumature appena visibili.

 E’ questo il contesto di “A volte penso” un flusso di pensiero indeciso che scorre sfuggevole su domande incerte, su risposte mai avute, su silenzi trattenuti e sorrisi concessi

A volte penso... “ è il primo progetto musicale di NOMEDARTE, ‘’album si pare con la title track che descrive un periodo incerto per l’artista, dove quelle domande, concepite dentro di sé, diventano poi un modo per esternare il suo stato d’animo, una sorta di sfogo e allo stesso tempo di analisi dell’attuale vacuità sociale che l’essere umano si trova a vivere e a cui deve “sopravvivere”…. Una sorta di denuncia sociale, svolta però dall’interno e proiettata verso il mondo esterno, verso quel mondo che lacera i sentimenti e ne impedisce la loro ingenuità. Le frasi appaiono quasi spezzate, le parole arrivano quasi di soprassalto come lo stesso finale spiazzante e lacerante, quasi che l’autore volesse far percepire quel senso di disagio che la società lo porta a vivere , esternandolo.

In “Sogni di luce” vengono riprese alcune delle riflessioni iniziate nella prima traccia, anche qui infatti, si analizza il comportamento umano, ma la luce che viene catturata non è quella esterna e fredda, ma una luce calda, tenue e dolce, ovvero la luce dei nostri sogni… Sogni che- seguendo l’analisi effettuata in questo brano- sembrano essere più veri della realtà stessa, in una sorta di scambio “simbolico”, dove la parte irrazionale dei sogni, appare secondo l’artista più reale della realtà stessa; come se i nostri sogni, i nostri desideri inconsci, fossero la parte più vera di noi. Quanto infatti -se ci pensiamo- la sfera del subconscio, è capace di guidare non solo i sogni, ma la realtà stessa che viviamo ogni giorno, dirigendoci verso una scelta piuttosto che un’altra, o lasciandoci guidare da emozioni di cui non sapevamo l’esistenza e che investono poi il nostro modo di rapportarci con la realtà…?

E dopo questi “Sogni di luce” arriva il singolo con cui Nomedarte si era presentato  alle radio e al pubblico, “Loop”, un brano che , a partire dal titolo, fa percepire quella sensazione di “ripetitività” a cui l’essere umano è indotto. L’intento del brano è quello di criticare una ben precisa categoria di persone, ovvero quella di chi si accontenta della routine, rifugiandosi in essa, con la profonda consapevolezza  che- tale schema prefissato- altro non fa che inaridire la vera essenza umana, impedendole di fuoriuscire ed esprimersi. Tuttavia l’artista stesso si accorge poi, di appartenere anche lui stesso a tale categoria e di vivere in questo Loop, dove è più facile trovare riparo dall’incertezza.



La quarta traccia sembra essere la conseguenza naturale della precedente, o meglio, il suo sviluppo e la sue evoluzione. Qui il tema si approfondisce e se in “Loop” la routine quotidiana diventa una sorta di gabbia dorata dove l’essere umano trovo la propria “comfort zone”, ecco che “Interno”, imprigiona ancora di più l’uomo e la identità: quell’essere umano, sembra perdere del tutto il senso di “essere”, facendo venire meno quindi anche l’aspetto umanitario, ovvero ciò che lo rende tale.

Se nella terza traccia si avvertiva un disagio sul nascere non ben contraddistinto, se non da quella vacuità interiore di chi si accorge di ripetere se stesso in modo costante, ecco che qui tale disagio, si interiorizza ed è proprio-come il titolo ci suggerisce -dall’interno che l’artista parte per descrivere tale sensazione, prendendo spunto da un utilizzo spasmodico del telefono che ci sta letteralmente “consumando”. Senza accorgercene annulliamo infatti quel nostro “essere umano”, ossia quel senso identitario che ci appartiene secondo natura, in quanto uniformiamo i nostri pensieri a quello che vediamo, senza avere il tempo nemmeno per pensare o criticare un qualche fatto o aspetto perché le informazioni sono così veloci, che non abbiamo il tempo per rifletterci, formando una nostra opinione.

Un fatto che riguarda tutti e di cui l’artista stesso, parlandone, guarda prima di tutto proprio all’INTERNO di se stesso, ravvisando quanto nessuno cerchi una via di scampo, preferendo perpetuare tale comportamento, piuttosto che cercare una soluzione che dia una qualche svolta alla nostra vita e in particolare alla nostra consapevolezza, perché oltre ad essere più comodo, siamo così inseriti in questo meccanismo come degli ingranaggi  fissi, che diventa quasi impossibile sbloccarne qualcuno per poi ricostruire il tutto.

E dopo questa lettura attenta di sé e del mondo, Nomedarte riprende il percorso dentro di sé: da quello che in “Loop” era una sguardo dall’alto, ad uno sguardo più generale e approfondito in “Interno”, ecco in “Sollievo” uno sguardo più profondo, uno sguardo che è un faccia a faccia tra lui e la sua interiorità, ma con gli occhi sempre rivolti al mondo attorno a sé; in particolare l’artista si sofferma sul senso della vita e sullo stato d’animo malinconico che tale concetto genera dentro di lui, prendendo ispirazione anche dalla poesia. Una malinconia che si desta da un sonno profondo, cercando si schiudere gli occhi e di superare tale stato angosciante, ma che in pochi istanti, si accorge di come quel senso di vuoto, di delusione, sia radicato in quell’essere umano, che mai è appagato nonostante gli attimi di felicità. Ma ecco che interrogando se stesso e guardando dentro di sé, l’artista si accorge come i momenti di gioia coesistano con quella desolazione interiore che soggiace al suo stato emotivo nella quotidianità: scrutando dentro di sé egli intuisce come la solitudine possa essere la chiave per riflettere, in quanto quando si è da soli l’unica immagine che vediamo è la nostra e tale immagine altro non è che lo specchio di noi dentro al mondo; ma occorre cercare la solitudine in questo mondo caotico dove il Loop che viviamo ci riporta di continuo ad un’immersione costante entro quel marasma sociale che prosciuga il nostro Io e lì è davvero difficile scorgere il riflesso di noi…

 

Sonia Bellin

 

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venerdì 7 febbraio 2025

“TROPPO POCO TEMPO” E’ IL PRIMO SINGOLO DI ELENA FONTANA

 




Una voce nitida e avvolgente, un morbido abbraccio fatto di note delicate che poggiano su di un pianoforte i cui rintocchi, liberano una leggiadra poesia…Una poesia sul tempo e sull’importanza di custodirlo e di serbarlo, senza sprecarlo.

La frenesia quotidiana, le nostre corse interminabili e un tempo che, appare sempre effimero. “Troppo poco tempo” è il singolo con il quale si presenta in radio Elena Fontana, giovanissima artista nata il 2 maggio 2004 a Legnago, in provincia di Verona. Elena  coltiva la sua passione per il canto e per la musica fin da piccola. Ha cominciato a studiare canto pop all’età di 9 anni all’Accademia delle arti vocali e musicali di Paola Mattiazzi, direttrice anche del coro Gospel, "Damavoci Gospel Singers", e da circa un anno canta in un gruppo chiamato "Stade". Giunta alla maturità decide di iscriversi al conservatorio per studiare canto jazz, per poi partecipare a diversi concorsi canori, ottenendone buoni riconoscimenti, tra i quali la vittoria al ‘’Borgo music Festival’’ di Tribano, dove PMS Studio la premia con una produzione in studio e gli permette di avvicinarsi allo straordinario mondo della creatività musicale.

“Annientati dalla clessidra mentre tutto scorre su una linea che veloce fugge via”  racconta Elena spiegando come le emozioni liberino un’energia positiva audace e incontrastabile…“Troppo poco tempo” per pensare per riflettere, per ritrovare se stessi con le nostre domande senza risposta, per monologhi imbarazzanti che spesso nascondiamo dietro inutili frasi di convenienza, eppure…

Eppure permane la voglia di ritrovare il tempo, il Nostro tempo, quel tempo rubato e lasciato lì, a fremere come il fragore di una porta che cigola e che apre davanti a noi una soffitta piena di ricordi; ma alla fine poi, se avessimo tutto quel tempo che tanto cerchiamo, avremmo davvero il coraggio di sfruttarlo per conoscere meglio noi stessi?

Forse queste corse interminabili sono anche il frutto del nostro volere inconscio che rifugge il confronto e teme di scoprire una verità amara…Forse diventa facile difendersi dal dolore da scudi creati da noi stessi, attraverso un’agenda intrisi di impegni dove il tempo per noi e per riflettere su no istessi diventa raro o inesistente….

L’inesorabilità di un tempo veloce rapido e sfuggevole risulta  apportata dallo stesso sviluppo del brano, che pare scorrere, ma contemporaneamente rilascia una miriade di spunti per riflettere, proprio come il tempo, che non risparmia mai un’introspezione dentro il nostro Io. La stessa voce di Elena, nella sua sfuggevolezza, esprime un senso di leggerezza, rilasciando una tempesta di emozioni sovrapposte ma distinguibili: una dopo l’altra queste si schierano davanti a noi, raccogliendo ogni istante di vita vissuta e poi riletta in una chiave più profonda.

 

Sonia Bellin


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